martedì 31 maggio 2011

La progettazione di una base di dati (prima parte)

Le applicazioni molto spesso interagiscono con i dati, manipolando l'informazione. L'informazione è l'elemento centrale di un programma e la sua progettazione deve precedere quella dell'intero sistema informativo che vi accede. Per questo motivo la progettazione di una base di dati, coerente con la realtà di riferimento descritta nelle specifiche del software, è indispensabile per la progettazione degli altri componenti. L'esistenza di modelli di riferimento per la progettazione di una base di dati ne dimostra l'importanza. Per la progettazione dei dati possiamo fare riferimento ad una consolidata metodologia che prevede le seguenti fasi:
  • progettazione concettuale;
  • progettazione logica;
  • progettazione fisica;
Ognuna di queste fasi, rispecchiando i requisiti della base di dati, realizza il modello finale per i dati del sistema informativo.
La progettazione concettuale rappresenta il livello di astrazione più alto ed ha come scopo la rappresentazione dei requisiti della base di dati, il prodotto finale di questa fase è chiamato schema concettuale. In questa fase il progettista non deve mai considerare gli aspetti implementativi della base di dati e l'efficienza dello schema concettuale ottenuto (tutte le osservazioni e le modifiche del modello avvengono nei successivi livelli di astrazione). Lo schema concettuale è un'alternativa alla scrittura dei requisiti funzionali della base di dati. La sua semplicità, infatti, ne permette l'uso anche all'interno della documentazione del sistema informativo.
La progettazione logica prevede la traduzione dello schema concettuale (ottenuto nella fase precedente) in schema logico. In questo livello di astrazione, per ottimizzare lo schema logico vengono considerati i vincoli e le operazioni sui dati che il sistema informativo dovrà compiere sugli stessi. Il modello logico più usato in questa fase della progettazione è il modello relazionale, che si basa sull'algebra relazionale e sul concetto di relazione. Tale modello, come vedremo in seguito, prima di essere tradotto in schema logico necessita di un ulteriore processo di ristrutturazione!
La progettazione fisica genera a partire dallo schema logico uno schema fisico, ottenuto considerando adesso le specifiche sui dati, il database scelto e le ottimizzazioni sullo stesso per migliorare le operazioni che il sistema informativo eseguirà in futuro (questo potrebbe significare anche la modifica dello schema logico).
Il modello Entità-Relazione (entity-relationship) è un modello concettuale per l'astrazione dei dati di un sistema informativo. Viene di solito abbreviato con la sigla E-R, la cui vera traduzione è Entità-Associazione. Questo modello offre al progettista una serie di utili costrutti grafici che, miscelati tra loro, permettono di generare un modello concettuale dei dati. Questi i principali costrutti:

Entità
L'entità modella un insieme omogeneo di dati, rappresenta una classe di oggetti che ha motivo di esistere all'interno del modello poiché è indispensabile per modellare una porzione della realtà di riferimento. Va comunque detto che un entità è anche indipendente ed autonoma ai fini dell'applicazioni, può cioè fornire informazioni anche senza interagire con altri componenti del modello. Il costrutto grafico usato per l'entità prevede un rettangolo che racchiude il nome (univoco all'interno dello schema) dell'entità. Alcuni esempi di entità, validi all'interno di realtà di riferimento assegnate, potrebbero essere le entità: impiegato, studente, città, per modellare l'occorrenza di tali oggetti nel sistema informativo.


Relazione
Una relazione rappresenta il legame logico esistente fra due o più entità della base di dati. Una relazione fra due entità è detta binaria, altrimenti è n-aria (fra n entità). Esistono anche relazioni ricorsive! Il costrutto grafico usato per la relazione prevede un rombo che racchiude il nome (univoco all'interno dello schema) della relazione alla quale afferiscono le entità che vi prendono parte. E' preferibile scegliere come nome di una relazione un sostantivo piuttosto che un verbo, in maniera tale da non far intendere il verso della relazione.
E' opportuno osservare che l'insieme delle occorrenze di una relazione corrisponde al prodotto cartesiano delle occorrenze delle entità che vi prendono parte. Pertanto, fra le occorrenze di una relazione del modello E-R non possono esserci, come vedremo meglio in seguito, duplicati! Questa osservazione ha un impatto molto importante sul modello poiché non permette di rappresentare alcuni eventi. Ad esempio, la relazione binaria esame collega logicamente le entità studente e corso:


Poiché le occorrenze di una relazione sono univoche, in questo modello non è possibile rappresentare i vari tentativi che uno studente compie per superare l'esame di un corso. Se vogliamo rappresentare questi eventi all'interno della base di dati dobbiamo allora modificare il modello in questo modo (usando una relazione n-aria):


Attributi
Gli attributi descrivono le proprietà delle entità o delle relazioni che sono utili ai fini dell'applicazione. Ad esempio, per l'entità studente potrebbero interessare gli attributi: matricola, nome, cognome e data di nascita. Per la relazione esame, invece, potrebbero interessare gli attributi relativi al voto conseguito e alla data dell'esame. L'attributo, quindi, specifica per ogni occorrenza di una entità o relazione i valori che tale occorrenza può assumere (il dominio). Tutti gli oggetti della stessa entità o relazione hanno gli stessi attributi.
Il costrutto grafico usato per la rappresentazione degli attributi prevede un piccolo cerchio vuoto, collegato all'entità o alla relazione mediante una linea, caratterizzato nelle immediate vicinanze da un nome (univoco all'interno dello schema) che identifica la proprietà dell'occorrenza. In alcuni casi gli attributi possono essere raggruppati per formare attributi di tipo composto, come avviene in questo esempio:


Cardinalità delle relazioni e degli attributi
Specificano, per le relazioni, il numero minimo e massimo di occorrenze per le entità che partecipano all'associazione. Per la cardinalità minima i possibili valori possono essere 0 o 1. Se la cardinalità minima per un'occorrenza è 0 la partecipazione alla relazione è detta opzionale. Se 1, invece, è detta obbligatoria. Per la cardinalità massima i possibili valori possono essere 1 o N (molti, più di uno). Se la cardinalità massima e quella minima è 1 si dice che la relazione realizza una funzione, associa cioè a un'occorrenza di un'entità una sola occorrenza delle altre entità della relazione. Le relazioni binarie (fra due entità) vengono talvolta ricordate considerando le cardinalità massime delle entità partecipanti, questi i possibili casi:
  • relazione uno a uno;
  • relazione uno a molti;
  • relazione molti a molti;
Seguono alcuni esempi:


Nella relazione uno a uno: un impiegato può avere al massimo un solo telefono aziendale (la cardinalità minima, in questo caso pari a 0, indica che un impiegato può anche non avere un telefono aziendale). Dall'altro lato della relazione: un telefono aziendale può essere assegnato a un solo impiegato.
Nella relazione uno a molti: un impiegato risiede in una sola città (occorrenza obbligatoria per il modello di dati analizzato). Dall'altro lato della relazione: una città può avere N impiegati ivi residenti (data la cardinalità minima della relazione, una città potrebbe anche non aver nessun impiegato!).
Nella relazione molti a molti: un impiegato può ricevere N incarichi di progetto (data la cardinalità minima della relazione possiamo anche dire che ne riceve almeno uno). Dall'altro lato della relazione: un progetto può essere assegnato ad N impiegati (oppure, vista la cardinalità minima, non è ancora stato assegnato).
Anche un attributo può avere una cardinalità minima e massima. L'attributo ha una cardinalità minima che può valere 0 (attributo opzionale) oppure 1 (attributo obbligatorio). Se la cardinalità massima di un attributo è pari ad N l'attributo è allora detto multi-valore. Se l'attributo ha cardinalità (1,1) la notazione viene omessa dallo schermo (per non appesantirne il disegno).


Identificatori delle entità
Ogni occorrenza di una entità deve essere sempre distinguibile dalle altre, per questo motivo il modello E-R offre un ulteriore costrutto per l'identificazione. L'identificatore di un occorrenza è in molti casi una proprietà dell'entità. Per segnare tale proprietà come identificatore dell'occorrenza occorre annerire il cerchio della proprietà che afferisce all'entità analizzata, come in questo esempio:


In alcune realtà di riferimento il modello dei dati potrebbe suggerire come identificatore un insieme di più attributi, il formalismo grafico da usare in questo caso è il seguente:


In altri contesti, infine, gli attributi interni non sono sufficienti a identificare univocamente un'occorrenza. In tal caso si userà come identificatore un insieme di attributi interni e un insieme di attributi di entità esterne (attributo esterno). In questo esempio:


l'identificatore è composto dall'attributo matricola della entità studente e dall'attributo nome dell'entità università. Ciò potrebbe essere sufficientemente reale se si pensa ad esempio che due studenti iscritti a due università differenti possano poi avere lo stesso numero di matricole! In questo modello l'uso dell'attributo esterno è dunque indispensabile!

Generalizzazioni
Attraverso questo costrutto possiamo distinguere due o più entità che differiscono fra loro per la presenza o l'assenza di uno o più attributi. In altre parole con questo costrutto possiamo generalizzare un entità padre in una o più entità figlie. Le entità figlie ereditano gli attributi dell'entità padre, oltre ad avere i propri attributi. Ad esempio, l'entità uomo o donna potrebbe essere una generalizzazione dell'entità persona. Ogni occorrenza dell'entità figlia è anche una occorrenza dell'entità figlia. Le generalizzazioni vengono rappresentate graficamente da una freccia che che unisce le entità figlie all'entità padre, la freccia punta all'entità padre. Se la freccia è piena la generalizzazione si dice totale: ogni occorrenza della classe padre è una occorrenza di almeno una delle entità figlie, in caso contrario la generalizzazione è detta parziale. Se la freccia non è piena la generalizzazione si dice esclusiva: ogni occorrenza della classe padre è al più una occorrenza di una delle entità figlie, in caso contrario è detta sovrapposta.


Adesso siamo in grado di comprendere il seguente modello concettuale:

giovedì 26 maggio 2011

Android: esecuzione di file audio e video

L'esecuzione di file audio e video all'interno di un'applicazione Android avviene attraverso la classe MediaPlayer. Le risorse da riprodurre vanno messe nella cartella res/raw del progetto. Il file può essere letto eventualmente dal filesystem (ad esempio sulla scheda di memoria, referenziato dal suo path) oppure da un flusso di rete (in tal caso sarà referenziato dall'url per la risorsa). Android permette la riproduzione dei principali formati audio e video, alcuni di questi sono: mp3, ogg e flac per i file audio, 3gp ed mp4 per i file video. I protocolli supportati per i flussi di rete sono: http e rtsp. L'audio viene riprodotto nell'altoparlante del dispositivo, dalla documentazione leggo che non è possibile eseguire file audio all'interno di una conversazione telefonica (se ricordo bene esiste un'applicazione che riesce a farlo comunque).
Dopo aver aggiunto al progetto i file audio e/o video da riprodurre (nella cartella res/raw) è possibile avviarne la riproduzione attraverso i seguenti passi:
  • creare un'istanza della classe MediaPlayer, l'oggetto ottenuto verrà usato in seguito per avviare o fermare la riproduzione. Il costruttore della classe istanzia un oggetto vuoto, se abbiamo un riferimento alla risorse da riprodurre è preferibile usare il metodo create(context,resource) della classe MediaPlayer che accetta due parametri: l'oggetto Context da usare e il riferimento alla risorsa. Tale riferimento può essere fornito attraverso l'id (univoco) associato alla risorsa (nella classe R), che corrisponde al nome del file nella cartella res/raw, oppure attraverso l'uri (uniform resource identifier). Vedremo in seguito come riprodurre file audio e/o video da flussi di rete o da filesystem;
  • l'oggetto creato è in grado di riprodurre la risorsa all'interno dell'applicazione Android. I metodi start() e stop(), rispettivamente, avviano e fermano la riproduzione della risorsa. Attenzione, se la riproduzione della risorsa viene fermata con il metodo stop() non possiamo, poi, riavviarla! In tal caso andranno invocati prima i metodi reset() e prepare();
MediaPlayer sound=MediaPlayer.create(getBaseContext(),R.raw.sound);
sound.start();
Particolarmente utile è a mio avviso il metodo isPlaying(). Questo metodo, se invocato su un oggetto MediaPlayer, ritorna un valore booleano: true se l'oggetto MediaPlayer è in esecuzione, false altrimenti. Usatelo, ad esempio, se non volete sovrapporre l'esecuzione di due file audio!
MediaPlayer sound1=MediaPlayer.create(getBaseContext(),R.raw.sound1);
MediaPlayer sound2=MediaPlayer.create(getBaseContext(),R.raw.sound2);

public void playSound1() {
if (!sound2.isPlaying()) sound1.start();
}

public void playSound2() {
if (!sound1.isPlaying()) sound2.start();
}
Immaginate di avviare la riproduzione di un file audio o video all'interno di un'applicazione, dopo averla utilizzata per un po decidete di uscire dall'applicazione, premendo il tasto back. La riproduzione del file continuerà anche mettendo in background l'applicazione! Lo scenario che ho appena descritto può andar bene per alcune applicazioni, per altre è preferibile terminare la riproduzione non appena l'utente mette l'applicazione in background. In tal caso non dimenticate di mettere una chiamata al metodo stop() sull'oggetto MediaPlayer che sta eseguendo il file audio nel metodo di callback pause().
Altri metodi particolarmente utili sono setLooping(boolean loop), che permette di abilitare la riproduzione continua della risorsa referenziata nell'oggetto MediaPlayer, e seekTo(int ms), che sposta la riproduzione a ms millisecondi dall'inizio.
La riproduzione da un file del filesystem o da un flusso di rete può avvenire sia attraverso il metodo create() visto sopra che attraverso il metodo setDataSource(). In quest'ultimo caso, dopo aver istanziato un oggetto MediaPlayer vuoto (senza riferimento a una risorsa) occorrerà invocare il metodo setDataSource(string resource) per caratterizzare con una stringa il path o l'uri della risorsa da riprodurre. Esistono altri metodi setDataSource(), quello appena indicato è sicuramente più immediato. Con questo metodo è possibile cambiare la risorsa referenziata dall'oggetto MediaPlayer, anche se assegnata in prima battuta con il metodo create(). In questo modo possiamo riciclare un oggetto MediaPlayer per eseguire prima un suono e successivamente un altro. Ogni volta che usiamo il metodo setDataSource() dobbiamo necessariamente invocare il metodo prepare().
MediaPlayer sounds=new MediaPlayer()
String path="SOME_PATH_HERE";
String file="FILE_NAME_HERE";

public void playSound1() {
if (!sounds.isPlaying()) {
try {
sounds.setDataSource(path+"/"+file);
sounds.prepare();
}
catch (IllegalArgumentException e) {
sounds=MediaPlayer.create(getBaseContext(),R.raw.default1);
}
catch (IOException e) {
sounds=MediaPlayer.create(getBaseContext(),R.raw.default1);
}
sounds.start();
}
}

public void playSound2() {
if (!sounds.isPlaying()) {
try {
sounds.setDataSource(path+"/"+file);
sounds.prepare();
}
catch (IllegalArgumentException e) {
sounds=MediaPlayer.create(getBaseContext(),R.raw.default2);
}
catch (IOException e) {
sounds=MediaPlayer.create(getBaseContext(),R.raw.default2);
}
sounds.start();
}
}
Il metodo setDataSource() può lanciare un IOExcpetion (se il file non viene trovato al path/uri indicato) e un IllegalArgumentException (se al metodo vengono passati degli argomenti non corretti).

Xubuntu: avviare le applicazioni lontane dai bordi


Ho notato che le finestre delle applicazioni in Xfce vengono disposte sempre lungo i bordi dello schermo, a partire dal vertice in alto a sinistra del monitor. Se eseguiamo più volte la stessa applicazione, ad esempio Thunar o Terminal, il gestore delle finestre (xfwm) cercherà di non sovrapporle, disponendole sempre lungo i bordi dello schermo. Molte applicazioni accettano in fase di avvio il parametro --geometry e consentono di specificare la dimensione della finestra e le coordinate da assegnare al primo vertice della finestra stessa (quello in alto a sinistra). Per Terminal, ad esempio, la sintassi da usare è: --geometry N_COLxN_RIG+X+Y, dove: COL e RIG sono, rispettivamente, il numero di colonne e di righe della finestra, mentre X ed Y sono le coordinate del primo vertice della finestra.
Se volete avviare la finestra di un'applicazione tenendola lontana dai bordi dello schermo non dimenticate di dare uno sguardo alla documentazione in linea dell'applicazione (man eseguibile_applicazione). Cercate, se presente, una descrizione della sintassi per l'opzione geometry. Nell'immagine sopra, ad esempio, ho avviato Terminal in questo modo: xfce4-terminal --geometry 60x15+150+50. In questo modo la finestra del terminale avrà 60 colonne e 15 righe, il primo vertice della finestra ha coordinate 150,50 (attenzione, l'asse delle ordinate è invertito).

mercoledì 25 maggio 2011

Android: si gonfia la rete!


I marcatori 2010/2011 del Napoli gridati da Raffaele Auriemma, direttamente sul vostro dispositivo Android. All'interno dell'applicazione trovate anche una traccia speciale, qui il codice sorgente. Potete installare l'applicazione sul vostro dispositivo Android attraverso il seguente codice QR:

qrcode


martedì 24 maggio 2011

Script per shell - funzioni...

Se nella scrittura di uno script vi accorgete di usare in più punti lo stesso set di istruzioni già scritto in precedente è arrivato il momento di scrivere una funzione e richiamare la stessa laddove occorre! Il codice sotteso a una funzione viene richiamato nello script facendo riferimento al nome dato alla funzione. La sintassi da seguire è la seguente:
function nome_funzione() {
...
}
La definizione di una funzione va fatta all'inizio dello script o comunque prima del suo impiego nello script. Per una funzione le variabili $1, $2, etc... non identificano gli argomenti passati allo script ma quelli passati alla funzione stessa! Una funzione ritorna al chiamante il suo codice di stato attraverso l'istruzione return (se presente). Una funzione, infine, può chiamare al suo interno altre funzioni, come nell'esempio:
#!/bin/bash
#Uso di funzioni...

range_time=4

function ping() {
echo "ping..."
wait_time=`expr $RANDOM % $range_time`
sleep $wait_time
pong
}

function pong() {
echo "pong..."
wait_time=`expr $RANDOM % $range_time`
sleep $wait_time
ping
}

#Pronti per il loop...
ping
Con $RANDOM viene generato un numero intero casuale, variabile da 0 a 32767. Nello script, usando il valore generato da $RANDOM come argomento di sleep, viene limitato l'intervallo attraverso l'operatore % (che ne fissa i valori nell'intervallo 0,$range_time-1).

lunedì 23 maggio 2011

Script per shell - until...

Verifica la condizione dopo la prima iterazione, il set di comandi verrà pertanto eseguito almeno una volta. Questa la sintassi:
until [ condizione ]
do
...
done
Esempio:
#!/bin/bash
#Ciclo until...
answer=""
until [ ! $answer -eq "2" ]
do
echo -e "Chiudere il programma?\\n1. si;\\n2. no;\\n"
read answer
done

Script per shell - while...

Verifica la condizione prima di ogni iterazione, segue questa sintassi:
while [ condizione ]
do
...
done
Esempio:
#!/bin/bash
#Ciclo while...
counter=10
while [ $counter -ne 0 ]
do
if [ `expr $counter % 2` -eq 0 ]
then
echo "$counter è un numero pari!"
else
echo "$counter è un numero dispari!"
fi
counter=`expr $counter - 1`
done

domenica 22 maggio 2011

Script per shell - for...

A volte occorre iterare uno o più comandi finché una condizione non si esaurisce, è questo il caso del ciclo for la cui sintassi è riportati qui di seguito:
for valore in [lista_di_valori]
do
...
done
Riprendiamo l'esempio visto in precedenza, quello che si occupa della rimozione di un file. Aggiungeremo un controllo sui parametri passati allo script in maniera tale da cancellarli tutti (lo script visto considerava solo il primo parametro!):
#!/bin/bash
#Ciclo for...
if [ $# -gt 0 ]
then
for file in $*
do
if [ -e $file ]
then
echo -e "Vuoi cancellare il file $file?\\n1. si;\\n2. no;"
read answer
case $answer in
1)
rm $file
echo "Ho cancellato il file $file!"
;;
2)
echo "Il file $file non è stato cancellato!"
;;
*)
echo "Il file $file non è stato cancellato!"
;;
esac
else
echo "Il file $file non esiste!"
fi
continue
done
else
echo "Indicare i nomi dei file da cancellare!"
fi

Script per shell - case...

La struttura di controllo case effettua un solo test sul valore di una variabile per determinare quale caso applicare (se previsto) fra quelli presenti nello script. Ogni caso è individuato da un etichetta che coincide con il valore eventualmente testato. All'interno di un caso è possibile, quindi, inserire le istruzioni relative al valore intercettato. I comandi di un caso previsto terminano con i caratteri ;;, è possibile descrivere un caso di default (seguito dalla struttura di controllo se nessun valore intercettato rientra fra quelli previsti) attraverso l'etichetta *). La sintassi è la seguente:
case $valore in
caso1)
...
;;
caso2)
...
;;
...
*)
...
;;
esac
Esempio:
#!/bin/bash
#Uso di case
if [ $# -eq 1 ]
then
if [ -e $1 ]
then
echo -e "Cancellare il file $1?\\n1. si;\\n2. no;"
read answer
case $answer in
1)
rm $1
echo "Ho cancellato il file $1!"
;;
2)
echo "Il file $1 non è stato cancellato!"
;;
*)
echo "Il file $1 non è stato cancellato!"
;;
esac
else
echo "Il file $1 non esiste!"
fi
else
echo "Indicare il nome del file!"
fi

sabato 21 maggio 2011

Script per shell - if... then...

Si tratta della classica struttura di controllo. L'esito del test sulla condizione data, che segue la parola chiave if, farà eseguire un preciso insieme di istruzioni. La condizione da valutare va racchiusa all'interno di parentesi quadre, le istruzioni subito dopo la parola chiave then verranno eseguite solo se la condizione nell'if è vera. In caso contrario, se presente, verrà eseguito l'altro set di istruzioni, quello che segue la parola chiave else. La sintassi è la seguente:
if [ condizione ]
then
...
fi
Esempio:
#!/bin/bash
#If... then...
echo -n "Inserisci il primo numero: "
read a
echo -n "Inserisci il secondo numero: "
read b
if [ ${a} -gt ${b} ]
then
echo "$a è maggiore di $b"
else
echo "$a è minore di $b"
fi
Notare la raccolta dell'input con il comando read, che scrive nella variabile il contenuto nel buffer dello standard input (la tastiera). Lo script non analizza tuttavia tutti i casi! Provate, ad esempio, a dare come input due numeri uguali. L'output coinciderà con l'ultima istruzione echo! E' possibile annidare più condizioni:
#!/bin/bash
#If... then...
echo -n "Inserisci il primo numero: "
read a
echo -n "Inserisci il secondo numero: "
read b
if [ ${a} -eq ${b} ]
then
echo "$a è uguale a $b"
else
if [ ${a} -gt ${b} ]
then
echo "$a è maggiore di $b"
else
echo "$a è minore di $b"
fi
fi
Qui, invece, un esempio che effettua un test su file:
#!/bin/bash
#Test su file
if [ $# -eq 1 ]
then
if [ -e $1 ]
then
echo "Il file $1 esiste!"
else
echo "Il file $1 non esiste!"
fi
else
echo "Indicare un nome di file!"
fi

Script per shell - operatori

Prima di dedicare un po di tempo ai costrutti messi a disposizioni dal linguaggio di scripting per il controllo del flusso delle istruzioni è opportuno analizzare gli operatori che è possibile applicare alle variabili. Iniziamo con gli operatori aritmetici. In tal caso è possibile applicare una delle sintassi utilizzate nell'esempio:
#!/bin/bash
A=10
B=5
ris1=$((A+B))
ris2=`expr $A + $B`
let "ris3=A+B"
echo "$A + $B = "$ris1
echo "$A + $B = "$ris2
echo "$A + $B = "$ris3
Questi gli operatori aritmetici che è possibile usare in uno script: + (per la somma), - (per la differenza), \* (per la moltiplicazione), / (per la divisione), ** (per l'elevamento a potenza) e % (per il resto della divisione). Esistono, poi, gli operatori di confronto, riassunti qui di seguito: -eq (uguale a), -ne (non uguale a), -lt (minore di), -gt (maggiore di), -le (minore o uguale di), -ge (maggiore o uguale di). Applicheremo in seguito questi operatori come condizione delle strutture di controllo (ad esempio if... then).
Un'altra famiglia di operatori particolarmente utile è quella per la verifica di file. All'interno di uno script, infatti, può capitare di dover stabilire la presenza di un file (o directory) prima di eseguire un set di istruzioni. Questi i principali operatori per i test su file: -e nome_file, per stabilire se il file esiste; -s nome_file, per stabilire se il file è vuoto; -d nome_file, per stabilire se il file è una directory; -r nome_file, per stabilire se il file ha i permessi in lettura; -w nome_file, per stabilire se il file ha i permessi in scrittura; -x nome_file, per stabilire se il file ha i permessi per l'esecuzione.
Il confronto fra stringhe avviene grazie agli operatori di stringhe: stringa1=stringa2, per stabilire se due stringhe sono uguali (può essere usato anche ==); stringa1!=stringa2, per stabilire se due stringhe sono diverse; -z stringa, per stabilire se la stringa è nulla (non contiene caratteri, è vuota). Quando descriviamo una condizione, possiamo combinare l'esito di più confronti legandoli logicamente con gli operatori logici: espressione1 -a espressione2, per l'and logico (ritorna 0 se è vera sia espressione1 che espressione2, è possibile usare &&); espressione2 -o espressione2, per l'or logico (ritorna 0 se è vera espressione1, oppure espressione2, oppure entrambe, è possibile usare ||).
Nei prossimi articoli vedremo da vicino le strutture di controllo e utilizzeremo gli operatori visti sopra.

venerdì 20 maggio 2011

Script per shell - variabili

Uno script shell permette la definizione di variabili, richiamabili all'interno dello script attraverso il carattere $. L'assegnazione di un valore a una variabile deve rispettare la seguente sintassi: nome_variabile=valore (notare l'assenza di caratteri di spazio).
#!/bin/bash
# Uso di variabili
testo="Data di oggi:"
data=$(date)
echo $testo $data
echo "Output: $testo $data"
Una variabile può contenere un valore (stringhe di caratteri o numeri) oppure l'esito di un comando. L'assegnazione di una stringa a una variabile va quotata con le virgolette, come nell'esempio. L'assegnazione dell'output di un comando a una variabile avviene, invece, attraverso la sintassi $(comando). Per fare riferimento al valore contenuto nella variabile, infine, usare la sintassi $nome_variabile. Ricordate, le variabili in uno script non sono tipizzate. L'ultima riga dello script ci permette di osservare la sostituzione operata dal comando echo con i rispettivi valori delle variabili $testo e $data: se nel testo racchiuso dalle doppie virgolette compare uno o più riferimenti a variabili questi verranno sostituiti dai rispettivi valori.
All'interno di uno script possiamo fare riferimento a due tipi di variabili: variabili locali o variabili d'ambiente (o di sistema). Le variabili locali sono visibili solo all'interno dello script e vengono dichiarate con la sintassi vista sopra. Le variabili d'ambiente sono, invece, disponibili a tutti gli script poiché passate dalla shell al processo che esegue lo script.
Alcune di queste sono ad esempio: $HOME, che contiene la stringa con il path della directory di home; $PWD, che contiene la stringa con il path della directory corrente; $USERNAME, che contiene la stringa del nome utente, etc...
#!/bin/bash
#Uso di variabili d'ambiente
echo -e "Directory corrente: "$PWD
echo -e "Directory home: "$HOME
echo -e "Username: "$USERNAME
L'utente può passare allo script altre variabili (argomenti) facendo seguire al nome dello script i valori da passare, ogni valore è separato dal successivo da un carattere di spazio. Con $# accediamo al numero di argomenti passati allo script, con $n (con n numero intero compreso nell'intervallo 0,9) accediamo al singolo argomento passato. Poiché il conteggio degli argomenti passati allo script inizia da 0 e poiché il primo argomento contiene sempre il nome del file ($0) che esegue lo script, il primo argomento utile per lo script (se esiste) si troverà in $1, il secondo in $2, etc...
#!/bin/bash
#Argomenti passati allo script
echo "Nome del file che esegue lo script: "$0
echo "Argomenti passati allo script: "$#
echo "Lista degli argomenti passati: "$*
echo "PID: "$$
exit 0
Altra variabile d'ambiente particolarmente utilizzata è $?, che rappresenta il valore tornato (exit status) dall'ultimo comando. Uno script può tornare un valore di stato attraverso l'istruzione exit codice_di_stato. La variabile d'ambiente $? accede al codice di stato tornato dall'ultimo comando. Provate a dare il comando $? dopo un comando, oppure dopo l'esecuzione dello script sopra. Ogni comando, infatti, torna in caso di successo il valore 0, in caso di errore un valore diverso da zero (che in molti casi identifica la tipologia dell'errore). La variabile d'ambiente $@, a differenza di $*, torna tutti gli argomenti passati allo script quotati.

Script per shell - introduzione

L'uso dei comandi Linux può essere di notevole aiuto nella gestione del sistema operativo. Talvolta, poi, in una sessione al terminale, occorre combinare l'esito di uno o più comandi e applicare sull'output prodotto una logica, iterare nuovamente comandi etc... Attraverso la scrittura di uno script possiamo automatizzare l'esecuzione di un set di comandi! Per la scrittura di script possiamo utilizzare qualunque editor di testo, al file scritto occorre dare i permessi per l'esecuzione. Supponiamo ad esempio di aver scritto il nostro primo script e di averlo chiamato myscript, i permessi per l'esecuzione verranno assegnati al file dal comando chmod +x myscript. E' possibile assegnare a un file i permessi per l'esecuzione anche attraverso il comando chmod 755 myscript. Trovate qui altre informazioni sul comando chmod (vi ricordo che a uno script occorre, ancora prima del permesso di esecuzione, il permesso di lettura!).
La prima riga di uno script indica al sistema operativo l'interprete dei comandi, inizia con i caratteri #! ed è seguita dal path all'interprete dei comandi. Ad esempio: #!/bin/sh identifica l'interprete dei comandi per sistemi operativi Unix (detta Bourne shell, da Stephen Bourne), #!/bin/bash è la shell del progetto GNU/Linux, disponibile anche per altri sistemi operativi. Per evitare errori verificate sempre il path verso l'interprete dei comandi. Se siete curiosi di sapere quante shell sono note al vostro sistema operativo vi invito a digitare il comando cat /etc/shells.
Le righe dello script che iniziano con il carattere # non verranno interpretate e costituiscono dunque delle righe di commento per le istruzioni dello script (oppure disabilitano l'interpretazione di un comando). Un commento può essere aggiunto anche dopo un comando, separando il comando e il commento con un carattere di spazio.
Nel primo script che segue viene mostrato l'uso di un particolare comando, il comando echo. Useremo molte volte questo comando per la presentazione dell'output nella finestra del terminale.
#!/bin/bash
#Primo script, utilizzo del comando echo
echo Questo è il mio primo script.
Per l'output di alcuni caratteri speciali e importante adoperare le sequenze di escape, abilitate nel comando echo attraverso l'opzione -e.
#!/bin/bash
#Primo script, utilizzo del comando echo
echo -e Questo è il mio primo script.\\nCiao!

martedì 17 maggio 2011

Xubuntu 11.04: consigli per aspire one 110

Il 28 Aprile 2011 è stata rilasciata (in concomitanza con Ubuntu) l'ultima versione di Xubuntu, 11.04 Natty Narwhal. Xfce, l'ambiente desktop usato di default in Xubuntu, sempre veloce e leggero, è stato aggiornato all'ultima versione (4.8).
Sto provando da un paio di giorni questa versione sul mio Aspire One (110L), vi riassumo i problemi incontrati prima e dopo l'installazione, segnando per alcuni di questi le soluzioni che finora ho trovato.
Iniziamo dall'installazione, l'immagine trasferita con UNetbootin, dal file iso scaricato qui alla pendrive-usb, presenta il solito errore: No init found. Try passing init=bootarg. Ho aggirato questo problema creando l'immagine su pendrive-usb con il tool che trovate in Applicazioni>Sistema>Creatore dischi di avvio. L'installazione richiede circa 25 minuti. La dotazione software è come sempre orientata verso programmi leggeri ma comunque efficienti. Per l'ufficio disponiamo delle ultime versioni di: AbiWord (editor di testi), Gnumeric (fogli di calcolo) ed Evince (lettore di file pdf). Nella sezione dedicata a Internet troviamo installati: Firefox (il noto browser), Thunderbird (client per la posta elettronica), Pidgin (client per la chat istantanea, supporta numerosi protocolli), Xchat (client per irc) e il client per torrent. Nella sezione dedicata ai file multimediale Gmucibrowser è il nuovo lettore audio (ora installato di default al posto di Exaile), completano la sezione Xfburn (per la copia di dati su cd/dvd) e Parole Media Player (player di file audio e video). Nella sezione dedicata alla grafica troviamo come sempre: Gimp (per l'editing), l'ottimo Ristretto (visualizzatore di immagini) e Simple Scan (per l'acquisizione di immagini da scanner).
I tempi di avvio e spegnimento del sistema operativo sono rimasti invariati, il sistema operativo appare reattivo ai comandi e piacevole nell'utilizzo. Con la nuova versione di Xfce possiamo modificare il menu delle applicazioni attraverso uno dei tanti editor di menu disponibili nei repository di Ubuntu, come ad esempio Alacarte (sudo apt-get install alacarte). L'hardware dell'Aspire One è supportato bene anche in questa versione: il wifi viene riconosciuto e configurato bene in fase di installazione, nessun problema per la scheda video e l'audio, dei due lettori di schede SD funziona solo quello a sinistra. Quest'ultimo problema è ormai noto, vedremo a breve come risolverlo.
Con Xfce 4.8 possiamo dare ai pannelli un livello di trasparenza. Vanno tuttavia risolti alcuni bug relativi ai plugin usati nei pannelli, per alcuni di questi non sono riuscito a regolarne la trasparenza e il colore di background (mi riferisco a Generic Monitor, il plugin che permette di aggiungere nel pannello script personalizzati, e Indicator Plugin).
La gestione della ventola è affidata anche in questa versione al modulo acerhdf. Dopo qualche minuto la ventola rimane sempre accesa! Colpa dei valori usati di default dal modulo in questione che ne comanda l'accensione non appena vengono superati i 30 °C! Per risolvere questo problema (la batteria del nostro Aspire One ci ringrazierà) occorre creare il seguente file di configurazione con: sudo mousepad /etc/modprobe.d/acerhdf.conf e scrivere questa riga per le opzioni: options acerhdf kernelmode=1 interval=10 fanon=55000 fanoff=50000 verbose=0 (non dimenticate di salvare il file). Aprite il seguente file con sudo mousepad /etc/modules e aggiungete su una nuova riga (subito sotto lp): acerhdf (non dimenticate di salvare il file).
Se avete installato Xubuntu 11.04 su filesystem ext4 (più efficiente di ext2) vi consiglio di disabilitare la funzione di journaling (come già descritto qui). Avviate la live di Xubuntu, aprite una finestra di terminale e date il seguente comando: sudo tune2fs -O ^has_journal /dev/sda1 (sostituite, eventualmente, l'etichetta sda1 con quella del vostro dispositivo!). Altra ottimizzazione da fare è quella che riguarda le fasi di scrittura e lettura, per un disco SSD, è inutile ordinarle dal momento che queste richiedono lo stesso tempo di accesso! Potete applicare il consiglio già scritto qui.
Veniamo adesso ai lettori di schede SD, anche in questo caso la storia si ripete. Il lettore a destra funziona solo se è presente una scheda SD in fase di avvio. Ho risolto questo problema in questo modo: aprite una finestra del terminale e date il comando sudo mousepad /etc/modules, aggiungete su una nuova riga la stringa acpiphp (il nome del modulo da caricare), non dimenticate di salvare il file. Aprite il file usato da grub all'avvio con il comando sudo mousepad /etc/default/grub e aggiungete alla riga GRUB_CMDLINE_LINUX_DEFAULT la stringa pciehp.pciehp_force=1. Ad esempio, sul mio Aspire One, nel file in questione, ho questa riga: GRUB_CMDLINE_LINUX_DEFAULT="quiet splash elevator=noop rootfstype=ext4 pciehp.pciehp_force=1" (notare anche la presenza delle altre opzioni dette prima), non dimenticate come sempre di salvare il file. Ogni modifica fatta al file grub deve essere seguita dal comando sudo update-grub (fatelo!).


Sul mio netbook ho rivisto e organizzato lo spazio del desktop in modo differente da quello proposto di default (pannello a scomparsa e desktop libero per le finestre delle applicazioni).